LE SERENATE (da “Sotto le ali dell’Aquila” di Tore Stella)

12 Lug

Caricatura di Tore Stella

E il romanticismo delle serenate lo si potrà mai dimenticare?
Si usava farle nelle serate del sabato e sempre su commissione, lo posso dire io che ne ho fatte tante. Dovevamo eseguirle dalle 5 alle 6, ma prima di muoverci facevamo le prove a turno in una delle nostre case ove, nel frattempo, mangiavamo in genere la pizza con uvetta e noci cotta sotto il fuoco, il tutto annaffiato con un bel bicchiere di vino genuino che serviva per tenerci svegli.
L’organico era così composto: Domenico Silvestri (Memo) alla chitarra classica, Epifani Augusto e Gelosi Natale primo e secondo mandolino, Romoletto Valentini alla mandola, Corrado Ranucci cantava, mentre io suonavo il violino.
Per il raid musicale eravamo corredati di tutto: spartiti, leggii, banchettini pieghevoli e moccoli da usare e nel caso la luce fosse stata fioca; dietro, a garbata distanza, seguiva sempre un codazzo di fans e curiosi.
Il mio cavallo di battaglia era “Tristezza” di Chopin, ma anche “Vienna Vienna”, “Dicevo al cuore non sognar”, “Gelosia”, “Passa la serenata”, “Ti voglio amar”, “Violino Tzigano”.
A volte, in segno di riconoscenza, chi riceveva le nostre armoniose visite gettava dalla finestra illuminata (segno evidente che era in ascolto) cioccolatini, fiori, o cestini calati con corde, colmi di frittelle ancora calde che, a quell’ora notturna, oltre che essere gradite venivano spolverate in quattro e quattr’otto.
Una sera, non appena si iniziò a suonare, una maligna folata di vento spense le candele, così non restò che tornarcene in fretta e silenziosamente a casa lasciando la serenata a metà e poiché tale abbandono venne considerato grande offesa, per riparare tornammo la sera dopo, debitamente attrezzati con dei paravento di carta, ma non facemmo in tempo ad iniziare una nota che ci arrivò un secchio d’acqua inzuppandoci con tutti gli strumenti.

Tore Stella

 

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