Archivio | Maggio, 2016

Via Ciuffelli (già Via Capodellavalle) nel tempo

31 Mag

 

1918 Via Ciuffelli

1918

1920

1920

1930 Via Ciuffelli h

1930 – Inaugurazione monumento a Jacopone

1933 Via Ciuffelli k

1933

1937-Todi-cartolina-animata-via-Augusto-Ciuffelli-Perugia

1937

1940

1940

1956

1956

1960 Via  Ciuffelli

1960

2015 Via Ciuffelli

2015

San Fortinato ed il puteale

Quando era ancora Via Capodellavalle

Via Ciuffelli a 001

Via Ciuffelli nn

Edicola Via Ciuffelli

 

L’ANTOLOGIA TUDERTE: “Quanno el calmajo è el còre” (Annamaria Massari)

22 Mag

Antologia Tuderte

Scrìi e aricconda un episodio de vita che se riallacci ta la nostra Città e concernente el rapporto sendimendale che ciài aùto o ciài anco’ co’ lìa. L’argomendo nun è vincolato e pote ariguardà le più svariate sfaccettature (meno che quille pulitica e ministrativa) de la nostra comunità tuderte. I laòri non déono esse pubbricati su la paggina del Gruppo “Sei di Todi se……” ma inviati a: jacopino.tudertino@libero.it. Pubbricherò co’ piacere, sul blogghe de Jacopinodatodi, li vostri scritti. Ah, la penna sirà la mano ma ‘l calamajo dèe da esse el core. Grazzie.

Annamaria Massari

ANNAMARIA MASSARI

PIAZZA DUOMO (di Annamaria Massari)

Piazza dai mille orgogli,
sembra che in questo posto
il passato glorioso della fiera città
si mescoli al presente,
mentre pensieri ed anime passano lentamente.
Gli atomi in movimento restano sulla strada
e sulla gente e il tuderte orgoglioso li respira e li vive,
come fosse un guerriero che mescola energie,
ieri e oggi, il continuo fermento, anima e sentimento.

 

 

DA CASA A SCUOLA (di Annamaria Massari)

Certo io non ho strumenti adeguati per raccontare storie su Todi, ma, dopo tanti anni che vivo lontana da questo posto, i ricordi che credevo persi premono per uscire dalla testa e fanno frullare in cuore quel senso dolce e agro di ciò che è andato e non torna. Avevo otto anni quando sono arrivata e mi sembrava di essere approdata in una metropoli. Ci eravamo trasferiti da un borgo umbro piccolissimo e la città, per noi bambine sembrava piena di gente, di novità da scoprire, curiosità e avventure. Alloggiavamo in caserma in via Giacomo Matteotti e, per andare a scuola, percorrevo tutte le mattine con mia sorella più grande la strada in salita fino alla piazza del duomo e poi proseguivo ancora per un po’ sul lato destro della chiesa. Mia sorella mi lasciava presto per raggiungere la scuola media ed io continuavo da sola con la mia pesantissima cartella di cuoio o il laccetto per tenere libri e quaderni. Il flusso delle persone in movimento scorreva lento e tranquillo e le voci sembravano attutite da mura protettive come madri vigilanti. Nel video frammentario della memoria vedo cose e sento rumori e odori, ora che allora non mi colpivano. La prima vetrina che incontravo era la bottega di Ugo Serafini e poi i tanti laboratori artigianali disseminati come toppe nere sui muri di pietra. Quando si arrivava alla piazza della Rua la fontana faceva eco, con il suo piccolo zampillo al chiacchierio sereno di bambini e adolescenti mentre l’aria si profumava in maniera inebriante. Odore di pizza fumante, di caffè, di crema fresca invitavano a fermarsi. Era tappa per la merenda da consumare a scuola, ma anche occasione per unirsi a quel buongiorno collettivo detto con gratitudine e senza chiasso. Italo, il pizzaiolo e Pianeggiani, il barista trattavano tutti con garbata confidenza E poi, continuando in salita c’era il negozio di abbigliamento…, la bottega di Giovenali, dove, se non entravi per il panino, ti fermavi a salutare il vecchio proprietario sulla porta come se fosse uno zio. In cima, dopo piazza Garibaldi ero costretta a rallentare per smorzare il fiatone, e mi godevo quella luce e quello spazio aperto della piazza del duomo come se fossi arrivata in paradiso. Poi, ultima sosta dei desideri, la libreria Buona Stampa, dove i libri, appoggiati in quantità e ordinati con gusto, mi invitavano a fantasticare già da allora. La mattina cominciava con il sorriso e con la parola “buongiorno”. Noi salutavamo tutti e tutti rispondevano al nostro saluto, come se ci conoscessimo da sempre, come se fossimo, tutti insieme, una grande famiglia. Quando ci siamo trasferiti a Perugia, per andare a scuola, salivo sopra un bus di linea. Ricordo che, già dai primi giorni dopo il trasferimento, incontravo gli inquilini del mio palazzo che si recavano nel loro posto di lavoro e mi avvicinavo, sorridente, con il mio buongiorno sulle labbra, ma nessuno rispondeva, e io non capivo perché. Il saluto sembrava un’invadenza fastidiosa. Io, nella mia vita ho continuato sempre a sorridere e a salutare per sciogliere quel gelo che, ogni volta, sentivo scendere nel cuore…….ma questo è un altro capitolo.

CONSOLAZIONE (di Annamaria Massari)

Il tempo vola rapido
come dal treno gli alberi
che se ne vanno indietro.
Veloce un altro anno se n’è andato:
una ruga di più, un dolore, una gioia.
Pochi rimpiangono il passato,
ripetono per sempre quelle cose
fino a eclissarsi in una grande noia!
e gli uomini non sanno che,
nella tristezza di questa vita vana,
stazioni di riposo troveranno,
sorgenti limpide di fonte per dissetare il cuore
Bianca come una rosa delicata,
dolce con le tue linee tondeggianti,
stella splendente sotto la nevicata,
Consolazione immobile e sicura,
sei una luce che abbraccia, sei speranza
per la vita futura.

MEZZOMURO (di Annamaria Massari)

Le mura distese nel vicolo
con le pietre incastrate,
trattengono ad ogni fessura
l’eco nascosto di vite passate.
Mute voci lontane
che parlano di guerre,
di soldati alla guardia,
di nemici alle porte,
di mamme, di bambini,
di lunghe passeggiate,
di donne innamorate.
Sono un canto che vola
e si perde nel sole e nell’aria azzurrina,
quando l’anima sola,
nella luce splendente, lentamente cammina.

FIGLI DELL’ARMA (di Annamaria Massari)

Ho vissuto nelle caserme fino all’età di tredici anni.
I miei ricordi di quei posti sono come un quadro dove si ricompongono immagini spezzate di una splendida realtà. La caserma di Todi, dove ci siamo fermati per sei anni si trovava, allora, in via Giacomo Matteotti, nel borgo contrassegnato con l’effigie fiera dell’aquila, sopra alla Porta Catena. Il grande edificio versa, ad est con le finestre sulla via e ad ovest sul colle che declina verso le campagne.Ai lati il vicolo della Trinità e quello di Mezzomuro fanno ala a questa grande dimora. All’interno si dispiegava, all’epoca, tutto un mondo di ambienti e corridoi invalicabili per gli estranei, essendo zona militare. La stanza del piantone, gli uffici, gli appartamenti riservati al Capo di Stazione ed al Capo di Sezione, le camerate, la grande cucina, il cortile e, sotto, le stalle per i cavalli, erano collegati da ampi e luminosi androni e da scale antiche con gli scorrimano in ferro battuto.
Tutto era ordinato, pulito, perfetto e le nostre vite scorrevano sotto un alone di sicurezza su cui vegliavano giovani, con le divise impeccabili e i fregi colorati; angeli neri con lo sguardo interrogativo e malinconico e i visi poco più che imberbi; Carabinieri, gente che credeva nel senso del dovere e nel tormentato compito di tutelare il bene comune e far rispettare la giustizia. Uomini con le ali a cui la vita riservava solo sacrifici, nottate di appostamenti, sopralluoghi scomodi, verbali, inseguimenti con le armi in mano e paura di essere sempre esposti al pericolo. Io li adoravo tutti come se fossero grandi eroi ed ero fiera di vivere con loro sotto le stesse mura.
Durante le feste importanti papà invitava a pranzo, in casa sua, i militari senza il permesso di andare in licenza, perché “non dovevano” rimanere soli. Ricordo ancora tanti dei loro nomi, dei loro visi e del loro modo di parlare e, ancora oggi, ogni volta che incontro per strada un giovane ed anonimo carabiniere, mi viene voglia di abbracciarlo e baciarlo come se fosse un parente. Papà era il capo della Stazione. Fuori dall’appartamento che gli era stato assegnato noi bambine circolavamo in questi grandi spazi. Io giocavo con Enrico, figlio del capo di Sezione e mio coetaneo. Frequentavamo la stessa scuola e facevamo i compiti insieme, poi, nel pomeriggio, giocavamo sempre. Enrico era divertente, s’inventava sempre qualcosa e morivamo dalle risate. Quello fu un tempo veramente felice. Per me, anche lui è stato come un fratello della grande famiglia e fa parte delle radici di questa mia storia a pezzi. Andavamo nelle camerate o nella grande cucina dove alloggiavano i militari e, spesso loro ci mostravano le foto delle mamme o le loro cose più personali.
Ci fermavamo a lungo nel cortile interno della caserma o nelle scale del lato sud che uscivano sul vicolo della Trinità. Ricordo un improvvisato “”ospedale delle bambole”” da dove le stesse, dopo i nostri maldestri e difficilissimi interventi, venivano fuori più rotte di prima. Ci facevamo le sigarette con la carta arrotolata e non riuscivamo nemmeno ad accenderle, ma era bello lo stesso provare a fare i grandi. Ci raccontavamo tante barzellette. Spesso andavamo a fare compagnia al “”piantone””, nello stanzino caldo dove c’era soltanto il letto, una stufetta, un tavolo ed il telefono. Il cortile era un grande spazio, chiuso tra mura altissime, con un tetto di cielo ed un’aiuola fiorita al centro. La grande cucina si affacciava qui e mandava profumi deliziosi per l’aria, poiché Cesira la cuoca cucinava per i carabinieri come se fossero i suoi figlioli. Muri, cielo, fiori, profumi e noi bambini rumorosi come rondini in primavera, rendono questo luogo indimenticabile .
Ricordo bene il nostro appartamento che ora mi sembra un angolo di paradiso. Nel lato est le finestre, dal terzo piano, si affacciavano sulla strada principale. Pietre antiche, voci sommesse, piccole botteghe, scalette, vicoli e vicoletti affacciati al sole come lucertole e rumori di tacchi sul ciottolato, sottofondo tranquillo allo scorrere della vita, che giungeva alle finestre quasi attutito e disperso nell’aria, come se provenisse da tempi passati. Nel lato ovest, le finestre dominavano sul cortile immenso che faceva eco anche al minimo fruscio, poi sull’appartamento del comandante della Sezione, e dietro, sui tetti e sui monti.Tante stanze s’inseguivano in un corridoio lunghissimo e luminoso, ma di sicuro, quella più bella era il bagno, unica esposta sul versante ovest con panorama. Era una stanza grande come una camera matrimoniale. Mamma stirava lì e c’era un grande tavolo dove noi, spesso ci fermavamo a studiare o a leggere, o a giocare. Dalla finestra si scorgevano i tetti della città che degradano verso la valle, spesso sullo sfondo di cieli infuocati nel tramonto. Ricordo stupendo dei sogni, ricordo di mamma, ricordo di una città bellissima. Sotto al nostro appartamento si trovavano gli uffici. Da qui si alzava tamburellante e continuo il rumore delle vecchie olivetti, sempre in attivo e il profumo forte e gradevole di tabacco dei giovani che fumavano nei momenti di pausa.
Gli uffici, ordinati e sempre ben organizzati rappresentavano, per me bambina, il mondo maschile, severo nei ritmi lavorativi ed austero nell’obbedienza e nelle disposizioni sempre rigide. Lì mi sentivo intimidita, perché, al di là della cortesia, poca udienza ci era accordata… Infine sotto alle camerate, c’erano le stalle con i cavalli. A noi bambini era vietato andarci da soli e dovevamo aspettare che ci accompagnasse qualche gentile milite a riposo. A guardia della stalla e dei cavalli c’era Dik. Era un cane lupo, ma io non lo ricordo come un gigante e forse era cucciolo, aveva il pelo marrone. Era bellissimo, ma quello che mi è rimasto impresso di lui è stato sempre lo sguardo e a quello penso sempre. Sembrava un bambino pronto a guizzare nel gioco come noi e la sua lingua ci avrebbe leccato, se avesse potuto per segnalarci che eravamo nel suo branco anche noi. La sua passione erano i cavalli, lui viveva con loro e vigilava attento su ogni spazio. Li seguiva dappertutto, se possibile anche talvolta in pattuglia e, sempre fedele, come un carabiniere, li riaccompagnava a casa. Quando fu soppresso il corpo dei carabinieri a cavallo, non ci furono più motivi per trattenere questi meravigliosi animali in caserma, quindi si preparò il loro trasferimento. Il giorno stabilito fu proprio brutto. Dik aveva capito. Fu legato alla catena, ma appena i cavalli si diressero verso la stazione che li avrebbe allontanati da lì per sempre, riuscì a liberarsi e li inseguì fino allo sfinimento delle forze, non so bene fin dove. So che poi, quando ritornò moribondo, non abbiamo più avuto sue notizie.
Quel giorno ho visto i carabinieri addetti alla cura dei cavalli piangere. Anche Dik ha pianto, ha strappato le catene, ha inseguito il branco, ha difeso la sua famiglia e poi è tornato a morire in caserma. Anche lui come un carabiniere, è stato sempre fedele nella vita. Quando passo nel vicolo della Trinità, davanti al cancello che recinta la zona delle stalle, sento ancora, dopo cinquant’anni, una stretta nel cuore e penso a questo mio piccolo mondo. Vorrei proprio, come talvolta capita anche a me, che chi vive o vivrà tra queste mura, sentisse sussurrare gli echi del passato, i ticchettii delle vecchie Olivetti, o i nitriti dei cavalli, il vocio dei bambini, o il profumo intenso del tabacco, sentisse questa vita che, ormai appartiene al passato.

PIETRE  (di Annamaria Massari)

Le mura, i tetti, i campanili appoggiati sul dosso
nella luce splendente di un tramonto o col velo di nebbia
che si portano addosso
sono i rami sottili di un albero ridente
che sta piantato in cuore.
L’albero dei ricordi, l’albero della vita
che viene a dirti ancora che non è finita.
Questa luce che brilla sulle pietre
lascia nude le case arrampicate
che l’occhio dell’amante adora
con la bellezza delle cose andate.
Sono qui, sulla nave dei ricordi,
nel flusso lento che scorre tra le strade.
Todi mi avvolge, mi lascia senza fiato,
mi commuove, riscalda questo cuore
che credevo eclissato.

La fonte Scarnabecco nel tempo

15 Mag

1898 Fonte Scarnabecco ml

1898

1900  Fonte Scarnabecco SI

1900

1904 Scarbabecco kw

1904

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1931 Corteo storico visita Ariosto

1962 Tiziana Sciaramenti

1962 (la piccina è Tiziana Sciaramenti)

1985 Fonte Scarnabecco

1985

2010 Scrnabecco 006x

2010

2010 20 maggio Francesca Tenti

2010  29 maggio (Francesca Tenti)

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Giugno 2010  Inaugurazione restauro della Fonte

2014 Fonte Scarnabecco

2014

2015

2015

Tiziana

2018

Fonte Scarnabecco (le lavandaie)

Fonte Scarnabecco g

Fonte Scarnabecco h

Fonte Scarnabecco

 

 

L’ANTOLOGIA TUDERTE: quanno ‘l calamajo è el còre (Roberto Brizioli)

12 Mag

Antologia Tuderte

 

Scrìi e aricconda un episodio de vita che se riallacci ta la nostra Città e concernente el rapporto sendimendale che ciài aùto o ciài anco’ co’ lìa. L’argomendo nun è vincolato e pote ariguardà le più svariate sfaccettature (meno che quille pulitica e ministrativa) de la nostra comunità tuderte. I laòri non déono esse pubbricati su la paggina del Gruppo “Sei di Todi se……” ma inviati a: jacopino.tudertino@libero.it. Pubbricherò co’ piacere, sul blogghe de Jacopinodatodi, li vostri scritti. Ah, la penna sirà la mano ma ‘l calamajo dèe da esse el core. Grazzie.

 

Roberto Brizioli

ROBERTO BRIZIOLI

LA ROCCA DI TODI: luogo dei ricordi di gioventù (Roberto Brizioli)

Ancora odo lo stridio delle ruote in bachelite dei pattini di ferro, l’odore del grasso sulle sfere dei cuscinetti e via… un’altra corsa sulla pista che sembrava non finire ma. Le gare con le bici attorno al Parco e la sfida contro il tempo lungo la passeggiata, dai Giardini a San Fortunato, interrotta da una sosta ristoratrice presso la fontanella di fronte al Belvedere. Sul grande prato verde i tornei di calcio prima autorizzati, poi clandestini a guardia dell’imminente arrivo del simpatico custode Sereno. E poi quale miglior nascondiglio per marinare la scuola, nascosti sotto le mura di cinta e sorpresi dall’arrivo di una intrepida insegnante (certo dopo 40 giorni di assenza!). La merenda era garantita dalle pigne stracolme di pinoli, schiacciati sul muretto con il primo sasso trovato in terra. Nelle sere d’estate, a caccia di lucciole, s’incontravano le coppiette appartate vittime di innocenti scherzi. “La Rocca” nei miei pensieri e nel mio cuore.

Roberto Brizioli

 

Gente de Todi

3 Mag

2016 Gente de Santa Maria

2016  Gente de Santa Maria

1950  Gente del Vicolo Bello

1950  Gente del Vicolo Bello

Gente di Mezzomuro

1940   Gente de Mezzomuro

G1930Giardinetti

1930   Gente ai Giardinetti

1903 Ponterio 2

1903  Gente de Ponterio

Duesanti (il castello)

1888   Gente de Duesanti

Vasciano 1935 (la trebbiatura)

1935 -Gente de Vasciano

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1894   Gente de Via Mazzini

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1909   Gente de Borgo

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1894 – Gente de Piazza

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1907   Gente de Via Ulpiana

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1913   Gente de Via Roma

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1906   Gente de Portafratta

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 1920   Gente de Pantalla

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1925 – Gente de Torregentile

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1920   Gente de Camerata

 

 

Collevalenza centro SI

1923    Gente de Collevalenza

1938 Pontecuti Monumento ai Caduti

1938   Gente de Pontecuti