Archivio | novembre, 2013

Inundatione del Tevere et fiumi

26 Nov

Pontecuti 1944 (prima dei bombardamenti)

 

INUNDATIONE DEL TEVERE ET FIUMI

(cronaca di Ioan Fabrizio degli Atti)

Ne l’anno 1530 a dì 6 de ottobre forono pluvie continue de un dì et una nocte, tale che lo Tevere inundò tanto che per homo vivo se testificava non essere vista maiore et tale che se ne summerse la Rochetta quale stava de rincontro al Ponte di Cuti, ne la quale habitava Zacharia de Ioan¬baptisto d’Antonio de Fino, cittadino de Tode, con la sua domna, dui figlioli maschi et una fantesca: fo de dì et tucti in un puncto sufocati in [a]qua con epsa Rocchetta caduta da fondamento. Item sommerse la torre et molino del Serraglio stava presso al Ponte de Cuti; fo de largura decta. piena che ionse alla strada quale va ad Santo Hermo, o vero ad Cacciano. Lo fiume di Nagia tanto inundò, che tucte le molina precepitò, et medesmamente le molina del Tevero. Venne adviso per molti che se trovaro in Roma, come in Roma somerse assai numero de palazi et case et circa cinquimilia anime.

El Ponte de Montemolino

25 Nov

Ponte di Montemolino

Il ponte sul Tevere, chiamato Ponte di Montemolino, che collega il territorio tuderte con quello di Marsciano, fu costruito sotto il podestà di Todi cardinale Tornaquinci. Sono trascorsi settecentotrenta anni, poiché quello di costruzione è il 1282. Per il ponte sono passate le armate delle tante guerre per il dominio dei territori, dei castelli e delle ville. Nei secoli è stato distrutto e ricostruito più volte e l’ultimo intervento, di ristrutturazione e messa in sicurezza, è avvenuto nel 2012. Nel percorrerlo in automobile, pensate ai cavalieri, arcieri e pedoni in armi, che nel corso del Medioevo, lo hanno attraversato, facendo la storia del territorio, scritta alternativamente dai Guelfi o dai Ghibellini tuderti.

Jacopino Tudertino

Da “Todi e i suoi castelli” di Franco Mancini

La battaglia del 1310, svoltasi a Montemolino, e da considerare l’episodio più sanguinoso della secolare lotta tra guelfi e ghibellini di Todi (alcuni luoghi, nei pressi del ponte, presero i nomi di Rio Sangue e Morticcio): con i primi si schierarono i perugini; accorsero, in aiuto dei secondi, le truppe di Spoleto, di Narni, di Terni e di Amelia, comandate da Bindo de’ Baschi e dal duca della Valle spoletana, di origine savoiarda. I perugini, già padroni della Fratta, combatterono accanitamente ed ebbero completa vittoria: per essi si trattò, infatti, di annientare la più potente lega ghibellina dell’Umbria e con essa gli odiati e pericolosi spoletini  sempre avversi al dominio di Perugia sulla fertile piana che si stende da Assisi fino alle Fonti del Clitunno. Al duca di Spoleto caduto sul campo i ghibellini tuderti sostituirono il romano Riccardo Spadatratta, il quale) battute dapprima le milizie collegate dei guelfi a Pian dell’Ammeto (venne poi a segreti patti con il nemico. Todi fu così attaccata da preponderanti forze, verso la mezzanotte di una domenica del settembre 1311. Vennero contemporaneamente assalite Porta Fratta, Porta di Borgo (plesso Santa Prassede) e quella della Valle. I ghibellini, colti nel sonno, improvvisarono una difesa a Porta Marzia, ma udite le grida dei vincitori,che dalla Porta della Valle avevano raggiunto Piazza Grande, si precipitarono nel Rione delle Cammuccìe, aprendosi un varco in contrada Paragnano (nome che il Ceci spiega «luogo coltivato a orto »), varco che permise loro di guadagnare rapidamente l’aperta campagna. Lo Spadatratta, sentendosi (in seguito a tale episodio) sospettato dai ghibellini, defezionò clamorosamente alcune settimane più tardi, passando con cento cavalieri all’esercito di Perugia, che da Casalina tentava una sortita nel territorio tuderte. I ghibellini di Todi attaccarono allora la sua effigie con la fune al collo ad ogni porta della città; sotto si leggeva: «Io son Riccardo Spadatratta: el tradimento ordinai e non venne fatto!» Come lo era stato della sconfitta, Montemolino fu per i ghibellini di Todi il campo del trionfo e della vendetta. Il castello assistette, infatti, alla marcia vittoriosa dei todini seguaci di Enrico VII imperatore di Germania. In quella circostanza buona parte del territorio perugino fu messa a sacco e devastata. Il ponte di Montemolino rimase, per lunghi secoli, in triste abbandono, testimonianza di rovina e di morte.

Ghiaccio, peste e fulmini su Todi

22 Nov

Dalle cronache di Joan Fabritio degli Atti vengono riportati questi eventi avversi per la città di Todi:


nel 1522, mese di gennaio, il Tevere ghiacciò, tanto che, per vari giorni, lo si potette attraversare a piedi;

Traghetto sul Tevere j

nel 1524, il diciannove di dicembre, ci fu un violento temporale e molti fulmini caddero sulla Città. Sette di essi colpirono il Tempio di San Fortunato causando seri danni;

San Fortunato nel 1924

nel 1526 la pestilenza aggredì la città di Todi. Moltissime furono le vittime, tanto che fu fatta una stima che morirono i due terzi della popolazione.

Lasciapassere peste

 

Todi sotto obiettivo (Martelli Manuel Antonio)

17 Nov

 

Martelli

Martelli Manuel Antonio 2

Martelli Manuel Antonio 3

Martelli Manuel Antonio 5

Martelli Manuel Antonio 6

Martelli Manuel Antonio 1

La lingua italiana nel 1500 a Tode

13 Nov

Stemma degli Atti

Joan Fabrizio, cronistorico, discendeva dalla potente famiglia tuderte degli Atti, famiglia guelfa in lotta, fin dal 1200, con i ghibellini Chiaravalle. Era figlio del giureconsulto Pietro e ricoprì la carica di Cancelliere della Repubblica Tudertina. Nel 1517 fece parte del “novo offitio” dei Caporioni. Uomo di ferma fede cristiana, fu amante della sua Città, che voleva libera ed amministrata con giustizia. Dalla sua cronistoria è tratto questo stralcio che porta la data del MCCCCCXVII.
LA COMPAGNIA DE’ POVERI
In questo anno fo creato per sei misi lo novo offitio de’ caporiuni, tra li quali fui electo io Iohanfabritio per consilio generale. Milleximo predecto, a dì cinqui d’aprile, se ordinò in Tode la compagnia de’ poveri, de circha cinquantacinqui giuveni de Burgo, de Porta Fracta et de Via Piana alcuno, et. anche del rione de Cammuccia, homini de bassa mano; et fecero lor capo Carlo, figliolo de Biasino de l’Ar…., per inducta del decto Biasino, quale, ricercando tucti li giovini de li burgi, sollevò el populo in suspecto grande; et fo ordinato in consiglio se dovesse diponare: onde, facta prova de diponarla quietamente, non hebe effecto, però che detto Biasino, homo non quieto, per essere contumace del legato apostolico, non havendo voluto ponare le arme / et vivare arbitrariamente, cercava stare in questo favore de tal compagnia, et sotto colore favorire epsi, ogni dì multiplicava. Onde l’offitio de’ caporiuni quale pocho prima era in offitio, provide cum locotenente haver ne le mane uno de decti subdoctori et subornatori: et fo havuto uno Cassiano de Nicolò de Luca de Loto, altramente chiamato « la balena », et fo examinato, et cum favor de decti caporiuni fo impichato a le mura del Palazo del capitanio; qual iustitia fo riputata molto laudabile et salute de la gente de la ciptà, però che tra epsi era ordinamenti de mala natura et de morte de ciptadini per voler vivare senza freno de iustitia; et molti de decta compagnia se conduxero ad hobedientia et dierono cautela al superiore de ripresentarse ad ogni tempo. Et cusì fo rocta la decta compagnia, che durò XII dì, benché el quinto dì qualchuno che vidde la lor mala dispositione del capo, se rimesse da preposito. Et riduxese la ciptà assai cauta et sicura per lo favore del decto offitio de’ caporioni, qual fo integro, unito et molto alante al vivar quieto et favor de la iustitia.
Joan Fabritio degli Atti