Cenni storici sulla nobiltà di Todi (di Filippo Orsini) pagina uno

12 Lug

filippo

Cenni storici sulla nobiltà di Todi (di Filippo Orsini) pagina uno

Per comprendere la nascita e le vicende storiche del ceto patrizio e nobile della città di Todi, e in modo particolare la divisione che all’interno dello stesso patriziato si verificò tra il così detto Collegio degli Statutari da una parte, e il Collegio dei Compagni dall’altra, che costituivano il primo ceto patrizio, è necessario ripercorrere brevemente alcuni momenti della storia di Todi dal XII al XIV secolo. Todi, di fede ghibellina, fu, come tutti i comuni umbri, interessata delle lotte tra guelfi e ghibellini. La prima data certa che possediamo che attesti il conflitto tra le due fazioni è quella del 1169, quando lo storico cinquecentesco Gian Fabrizio degli Atti, nella sua Cronaca, scrive: “Fo la guerra in Todi tra lo Popolo e li boni homini cioè li ghibellini”. Il 1337 segnò una svolta determinante in merito alle questioni politiche tra le due fazioni. Predominando il partito Popolare ovvero guelfo, si arrivò alla stesura dello statuto comunale che, rispetto al precedente del 1275, denotava chiaramente una impostazione antimagnatizia, mirata ad isolare i così detti boni homines ghibellini ed a impedire loro ogni tipo di partecipazione al reggimento del comune. Il nodo della questione stava appunto nella rubrica 70 dello statuto dove il legislatore elencava tutte le famiglie magnatizie riportando il cognome o la denominazione d’uso insieme con i singoli capofamiglia che, appartenendo al ceto magnatizio, erano considerati facinorosi sediziosi e proprio perché pericolosi per la quiete pubblica venivano estromessi dalle magistrature comunali. Chi erano questi magnati o boni homines ghibellini? Non è facile tracciare un profilo sociale univoco di queste famiglie; cercheremo comunque di inquadrare in generale tali casate indicando fra gli appartenenti al ceto magnatizio la nobiltà feudale che controllava ancora grandi possessioni terriere, arroccata e chiusa nei castelli del contado da cui spesso prendeva la denominazione (nobili di Castel Vecchio, nobili di Castel Rinaldi, nobili di Montione ecc.). Si trattava spesso anche di milites, discendenti da cavalieri venuti in Italia al seguito degli Ottoni, degli Hoenstaufen o, in rari casi, discendenti di stirpe longobarda o franca. Questi si erano inurbati entro le mura cittadine ricreando al loro interno un tipo di struttura feudale anche architettonica che aveva il suo nucleo centrale intorno alle case torri, e a vere e proprie corti che richiamavano chiaramente la struttura castrense.

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